Prefazione al Volume III

Prefazione

Terminare una storia è tutt’altro che facile, specialmente se è stata suddivisa in più romanzi, come nel caso di una trilogia. Quando la si scrive, infatti, si creano molte aspettative nel lettore, anche per tenere alto l’interesse e la tensione; aspettative che poi bisogna soddisfare nel finale, senza esagerare, evitando di essere tuttavia banali. Il terzo romanzo di una trilogia è quindi spesso il più impegnativo.

Da una parte bisogna fare attenzione a non essere scontati, a non utilizzare cioè stereotipi e cliché già visti innumerevoli volte in altrettanti innumerevoli romanzi; dall’altra, bisogna garantire che la ricerca dell’originalità, del nuovo, non porti a situazioni inverosimili o introduca incoerenze nella trama.

C’è da considerare un aspetto che viene spesso sottovalutato: essere davvero originali è veramente difficile e, tutto sommato, non strettamente necessario. I motivi sono essenzialmente due. Innanzitutto bisogna considerare che è stato scritto talmente tanto da così tanti scrittori in tutto il mondo, che è quasi impossibile essere i primi ad aver avuto una certa idea. Ogni tanto succede ma, anche se si è particolarmente bravi, si può pensare al massimo di introdurre un’idea originale in ogni storia, non di più. Non è verosimile che un romanzo sia costituito da una serie continua di trovate che non siano mai state pensate prima da altri scrittori. Al più, si può lavorare su delle varianti.

Il secondo è che ogni scrittore è prima di tutto un lettore, che ha i suoi riferimenti in altri autori che lo hanno preceduto e influenzato. Un buon scrittore non ha problemi ad ammetterlo e neppure a indicare quali siano stati i romanzieri che lo hanno ispirato. Nel mio caso, in effetti, sono stati soprattutto scrittori di narrativa fantastica, ma non solo. Il primo, infatti, è stato Emilio Salgari. I suoi sono stati i primi romanzi che ho letto, letteralmente divorati quando avevo solo sei anni. Crescendo ho iniziato a leggere soprattutto fantascienza: i miei miti sono stati Isaac Asimov, Philip José Farmer, Jack Vance, Poul William Anderson e Robert A. Heinlein. In seguito ho iniziato a leggere fantasy, partendo da un maestro del genere, J. R. R. Tolkien, per proseguire con autori come Michael Moorcock e Ursula Le Guin.

In realtà un buon scrittore non ha bisogno di essere davvero originale, quanto piuttosto di saper raccontare bene la storia. Ci sono molti capolavori che si basano su storie viste e riviste, come amori contrastati o vendette, e che nella trama in sé sono tutto meno che originali; eppure i loro autori hanno saputo raccontare quelle storie con uno stile, un ritmo, che è stato capace di catturare l’attenzione di generazioni di lettori e di tenerli incollati alle pagine dei loro romanzi.

Io non so se posso dire di esserci riuscito con questi tre volumi, ma sicuramente ci ho provato. Sta poi ai lettori giudicare.

Se il primo romanzo era basato sulla classica avventura del singolo protagonista, quella che in gergo è chiamato “il viaggio dell’eroe”, il secondo si è avventurato in un intreccio fra due trame differenti: una che riprendeva e continuava quella del primo volume; la seconda che aveva un tono più epico, una sorta di sfondo su cui si sono avvicendati più personaggi, alcuni dei quali ho amato molto, come le tre amiche, Beatrice, Eliane e Isabella, che muoiono eroicamente nella Guerra delle Orde.

Il terzo romanzo ha rappresentato una sfida, perché è stato costruito sull’intreccio di ben cinque trame, che vengono sviluppate in parallelo, sia in termini di cronologia che di eventi. Anche in questo volume ho introdotto e ripreso molti personaggi secondari e minori che, tuttavia, hanno avuto un ruolo comunque importante per lo svilupparsi degli avvenimenti. Il principio infatti che pervade tutta la trilogia è quello che gli eventi non sono mai solo la conseguenza dell’azione di pochi individui, ma il sovrapporsi delle decisioni più o meno indipendenti di molte persone, che spesso non si conoscono neppure e tuttavia contribuiscono in qualche modo a creare una certa situazione, dando così forma alla storia.

Il fatto che un romanzo appartenga alla narrativa fantastica, non vuol dire che debba essere inverosimile, anzi, proprio perché permeato da molti elementi di fantasia, deve cercare di essere quanto più realistico e concreto possibile. La vera sfida è quella di rendere reale un mondo che non lo è, facendo sentire a proprio agio il lettore nell’immedesimarsi in questo o quel personaggio, in questa o quella situazione.

Alla fine arriva… la fine. È strano dover dire addio a personaggi che ci hanno accompagnato così a lungo; più strano forse persino per lo scrittore che li ha creati che per il lettore. Eppure è necessario. Tutto ha una fine e spesso è definitiva. I sequel infiniti non giovano a nessuno, perché la realtà stessa che viviamo ogni giorno è fatta di continue “fini”. Finiscono gli amori, le relazioni, le amicizie. Le persone vengono e vanno, nascono e muoiono. La realtà è un continuo cambiamento, dove ordine e caos si contrappongono in un equilibrio che tuttavia non è statico, ma dinamico. Non a caso questo conflitto, che tuttavia è anche confronto e persino armonia, questo yin e yang che governa ogni momento della nostra vita, è uno dei punti focali del terzo volume.

Un’ultima cosa: ho colto l’occasione di questa terza pubblicazione per rinnovare completamente il sito della trilogia, www.lalamanera.it. Ormai la maggior parte degli accessi avveniva infatti attraverso periferiche portatili, come cellulari e tablet, per cui ne ho sviluppata una versione più flessibile, responsive, come si dice in gergo. L’idea è quella di dare nel sito molte più informazioni di quelle che sono contenute nei libri, per cui anche ora che la trilogia è finita, continuerò ad arricchirlo di materiale, anche a seguito delle richieste dei miei lettori.

Spero che questo terzo romanzo vi piaccia perché sto studiando la possibilità di scrivere un prequel su due personaggi che nel tempo hanno acquistato sempre più spessore, ovvero il padre e la madre di Aggart, Rupert e Beth. Ma questa è un’altra storia.

Dario de Judicibus

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